Antonio Leo, alias Artleo, Aleo, Notoalieno...

Antonio Leo

e l'arte inutile.

Sono nato in Salento, tra l’Adriatico e lo Ionio, venti chilometri a sud di Lecce. Da bambino ho letto moltissimo: gialli e libri di spionaggio, libri storici, di avventura, di fantascienza, testi sulla natura e la scienza e, se possibile, ciò che mi veniva proibito. Da ragazzo ho frequentato il Liceo Artistico, quando Romano Sambati, pittore schivo, essenziale, fortemente concettuale, teneva la cattedra di pittura. Ascoltavo Vivaldi, la PFM, Jean Michel Jarre, i Pink Floyd, i Genesis, i Deep Purple, gli ACDC, il primo album di Phil Collins, i cantautori italiani, Franco Battiato, Lucio Battisti. A sedici anni sono entrato a far parte del team di una radio locale dove ho trascorso lunghe ore a promuovere musica improbabile.

Nell'estate del '79 ho frequentato il laboratorio e la casa di Nino Rollo che mi ha insegnato le tecniche della scultura in marmo; aiutavo Nino nelle fasi di sgrossatura, rifinitura e levigatura delle opere. È stata un'esperienza breve ma indimenticabile: la figura del Maestro è rimasta per me un riferimento e si riaffaccia spesso alla mia memoria col ricordo della sua immagine rigorosa e amichevole, col suo volto velato dalla polvere del marmo, con la serietà e il calore con cui accarezzava la pietra, coi suoi racconti di vita trasgressiva, da cui emergevano forti il senso di libertà e il valore del lavoro, che condensava in forme pure, sensuali e sincere.

Nel 1980 mi sono iscritto alla facoltà di Architettura di Roma di cui ricordo solo la figura maestosa di Orseolo Fasolo. Ho letto tutto di Bukowski. Ascoltato i Jethro Tull, i Talking Heads e Mauro Pagani. Ho lasciato l’università dopo solo un anno e sono partito per il servizio militare: a Maddaloni, in provincia di Caserta, nel reparto di Sussistenza con l’incarico 231A: istruttore.

Chiusa la parentesi militare ho studiato all’Accademia di Belle Arti di Lecce. Nel corso di Decorazione invece che quello canonico di pittura, con l’intenzione di sfuggire ai probabili condizionamenti del «docente-artista». Nel 1983 ho frequentato un corso di programmazione ANS-COBOL. In quell'anno l'Accademia scelse i miei lavori dedicati all’opera di Klimt per rappresentare il corso di Decorazione all’Expo Arte di Bari. In genere ascoltavo jazz.

In Accademia ho seguito il corso di Storia dello Spettacolo tenuto da Franco Perrelli (sceneggiatore e critico teatrale, principale traduttore italiano delle opere di Strindberg, ora al DAMS – Università di Torino [2002]); quello di Fotografia, con Pierluigi Bolognini; quello di Sociologia dell’Arte, di Antonio Basile (sociologo e critico d’arte). È con lui che ho approfondito gli aspetti deformanti e snaturanti del mercato dell’arte, maturando, nei confronti della «cerchia degli addetti ai lavori», un sospetto e una ostilità che è stata causa, forse, della mia produzione isolata, totalmente estranea a logiche di mercato.

Nella mia personale visione, l’arte è il risultato di un lavoro «puro» (virgolette indispensabili), che si contraddistingue per essere un atto «creativo» piuttosto che «produttivo». L’artista, dona la sua opera all’umanità, la genera dal suo codice di sensibilità culturale (o genetica), la dà come creatura libera che comunica al mondo sempre nuovi significati pur essendo «perfettamente» inutile. L’opera d’arte non è richiesta. Si manifesta allo stupore dell’osservatore strappandogli un sorriso o un fremito nell’attimo in cui lo tiene sospeso senza il minimo punto di riferimento: è una domanda impensata, una rivelazione che non dà risposte; entrando nel circuito commerciale, i suoi «valori» originali ne risultano qualche volta esaltati ma il più delle volte distorti, se non completamente rovesciati.

In Accademia, l’approccio sperimentale e la tecnica varia e personale hanno fatto apprezzare il mio lavoro. Solo in incisione le mie sperimentazioni hanno trovato una certa ostilità. Lavoravo alla creazione di una nuova tecnica: affiancando ai metodi di corrosione acida una fusione controllata della lastra, questa, oltre a rilasciare l’inchiostro, imprimeva un effetto calcografico al foglio di carta dando alla stampa una impensabile connotazione materica.

Ho chiuso il ciclo di studi con una tesi sul tema della Morte dell’Arte. Un lavoro che, partendo dall’analisi della crisi provocata alla fine dell’ottocento dalle nuove tecniche di riproduzione, passando attraverso la valutazione dei meccanismi di autonegazione culminate con l’Arte Concettuale, teorizzava una palingenesi nella riconquista della dimensione materica dell’opera d’arte.

A partire dal 1987 i miei lavori pittorici hanno coinvolto sempre più spesso la terza dimensione. Ho usato supporti rigidi invece che tela: le superfici si laceravano, ed elementi in legno o pietra, pezzi di metallo, ingranaggi arrugginiti di vecchi orologi, emergevano dalle profondità.

In quell'anno ho intrapreso un’attività di progettazione e realizzazione di arredi interni e prodotti di falegnameria classica, con un laboratorio che è arrivato ad avere una decina di dipendenti. Realizzavo arredi per attività commerciali, mobili, cucine, complementi, ecc. Cercavo di lavorare con creatività tenendo d'occhio la motivazione funzionale e mettendo a frutto la conoscenza delle nuove tecnologie per la progettazione tridimensionale. Ho affrontato quella sfida con l’obiettivo di ricavare le risorse finanziarie per sottrarre la mia attività artistica alle necessità contingenti, ma, malgrado un buon fatturato e il successo dei prodotti, una serie di fattori hanno portato nel ’92 alla chiusura dell’attività.

Dal ’92 mi sono concentrato maggiormente sulla produzione artistica lavorando però contemporaneamente in uno studio di progettazione. I miei lavori di quel periodo sono una testimonianza violenta e disperata, coltivano un’estetica del dolore, in cui l’aspetto carnale rimane l’unico afflato vitale. I cunei appuntiti, affilati si proiettano fuori dalle superfici consigliando prudenza e distanza all’osservatore. Quando ho deciso, a un certo punto, che era il momento di presentare i miei lavori, ho scelto la galleria di Emilio Mazzoli che li ha puntualmente rifiutati perché distanti dalla linea sua editoriale (in quel periodo Mazzoli stava organizzando la mostra di Gian Marco Montesano, che, obbiettivamente, era tutta un’altra linea). È stato il primo e l’ultimo tentativo del genere.

Leggevo Nietzsche, Kafka, Freud (Totem e Tabù), Vattimo, Maldonado, Günter Grass, il Mare Verticale di Saviane. Ho scoperto l’Urlo, di Faulkner, studiato i primi testi su Internet. Mi occupavo di ristrutturazioni architettoniche, preparavo un concorso a titoli per la cattedra di Anatomia Artistica inventando soggetti figurativi semiscorticati su cui sperimentavo ancora una volta il rapporto di osmosi conflittuale tra profondità e superficie, interno e ed esterno, palese e celato.

Nell’aprile del 1995 mi sono trasferito a Vicenza dove ho lavorato subito come arredatore d’interni. Nel ’96, a Verona ho condiviso col titolare la responsabilità di gestione della sede locale della società occupandomi prevalentemente di progettazione. Ho acquistato il mio primo personal computer a interfaccia grafica che ho utilizzato con applicazioni per la progettazione tridimensionale ed il rendering, con cui ho potuto sperimentare, soprattutto, le potenzialità «espressive» dei programmi di grafica digitale. Ero attratto dalla forza di Internet come strumento di comunicazione globale quando Videøparty ha deciso di dedicare ai miei lavori digitali un ampio spazio.

Decisi di lasciare il mondo dell’arredamento per dedicarmi ad Internet iniziando come freelance la carriera di web designer. Nel ’98 è nato WASART, con l’utopia di dar vita a un movimento artistico che avesse Internet come centro di coesione e il corpo come principale oggetto di riflessione estetica. Pubblicavo i miei lavori con gli pseudonimi di Notoalieno, Aleo, AL&AW. Arrivò qualche riconoscimento dalla stampa ma il movimento non decollò.

Dal 1999, sono responsabile del design visivo di WINS, società di servizi Internet. Qui affronto progetti grafici e web ad alto contenuto estetico cercando di non perdere mai d’occhio la funzionalità, l’efficienza e la valorizzazione dei contenuti. Motivo, credo, che mi ha fatto godere dell'attenzione di alcune importanti società commerciali che mi hanno incaricato della gestione della comunicazione su Internet.

Tra il 2000 e il 2001 mi sono occupato dell'organizzazione dell’ufficio grafico e della direzione artistica per due società IT veronesi. Nello stesso periodo ho preparato e superato il concorso per le cattedre di Disegno e Storia dell’Arte ed Educazione Artistica ed ho insegnato «progettazione grafica per il web» nei corsi SCF della regione Veneto. Ho tenuto anche corsi sull’uso di Front Page per la creazione di web ad uso didattico. Ho letto poco in questo periodo: Irvine Welsh, Philip Roth. Ascoltavo Herbie Hancock, Zawinul, Marcus Miller, Bill Evans, Paolo Conte, soprattutto Miles Davis.

Nel 2002, all’Istituto Comprensivo di Isola Vicentina, ho sperimentato gli aspetti formativi delle strutture ipertestuali e utilizzato i nuovi sistemi di comunicazione, come l’e-mail e l’instant messaging, per stimolare le capacità comunicative di alunni con difficoltà di linguaggio.

Attualmente vivo a Vicenza e opero prevalentemente nella realtà territoriale veneta. Ascolto musica etnica, classica e jazz dalle Internet-radio. Sto leggendo Gadda (l'Ingravallo «ubiquo ai casi e onnipresente su gli affari tenebrosi»).

Ma per fortuna non è tutto. :-)

 

Antonio Leo (febbraio 2002)

 

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