CONVERSAZIONE FRA LUCIO AMELIO E RICCARDO NOTTE
1991 Riccardo Notte

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N.: "Ma anche il tuo interesse per questo o quell'artista è in fondo dettato da un giudizio critico, sia pure dal punto di vista di un gallerista..."

A.: "Una cosa che mi ha aiutato molto è stata quella di aver guardato quegli artisti che non pensavano al guadagno. E naturalmente i primi anni sono stati terribili, pieni di ondeggiamenti. Ma già nel '66 ho fatto la mostra di Alfano. Era una mostra che per chi l'ha vista, vedendo quelle opere che da Napoli partivano con quei discorsi, creò un certo impatto. Poi il discorso si andò precisando con la conoscenza di Beuys. Però, in realtà, le strade convergono un po' magicamente, perché devono convergere. Nel settembre '71 io e Beuys ci incontrammo a Heidelberg in occasione di un convegno contro il mercato dell'arte. Io, che ufficialmente faccio il mercante d'arte, il gallerista, ero e sono contro il mercato dell'arte. Ma a proposito della domanda "gallerista" io parlo di coloro - mercanti d'arte, privati, critici - che utilizzano il lavoro che noi facciamo (senza pensare ai soldi, ahimè, o pensandoci dopo e poco) e che pensano soltanto a guadagnare rovinando così il mercato. Ad ogni modo il momento di piena coscienza è coinciso con l'arrivo di Beuys. Perché Beuys queste cose le stava teorizzando proprio in quegli anni. Egli era un artista che aveva già creato decine di migliaia di fantastici disegni, aveva fatto delle sculture pazzesche. Quando ho conosciuto Beuys egli era un grande artista che però stava incominciando a dire: "Io non ho nulla a che fare con il mondo dell'arte". Egli dichiarava questo. Perché? Perché ne aveva riconosciuto i limiti. Sentiva che il fatto di produrre degli oggetti aveva dei limiti".

N.: "Hai anticipato in qualche misura la domanda che volevo porti. Mi riferisco alla tendenza in atto in tutte le società tecnologicamente avanzate. Società che si orientano verso la produzione immateriale. Quell'immateriale che viene nella fattispecie ben rappresentato dalle nuove sperimentazioni con le tecnologie delle realtà virtuali. Insomma si va verso l'immateriale. E' chiaro. Mentre al contrario l'arte che la tua galleria propone sembra ancora legata all'oggetto. Non è questo un segno di distanza dal presente" ?

A.: "Ma io me lo auguro. Io me lo auguro non perché non mi piaccia vendere questi oggetti. Mi piace anche venderli, intendiamoci. E molto cari, quando è possibile. Il problema non è tanto questo. Sarebbe un grande equivoco il pensare all'arte solo come concetto. Perché se questo fosse l'arte... non sarebbe arte. Sarebbe poesia, letteratura, filosofia o altro. L'arte invece è un concetto stupido, curioso, che sta là, e sta stupidamente immoto. E se è arte, se è un oggetto d'arte, lentamente emana delle radiazioni di tipo fisico. faccio un esempio classico. "Le sette opere della misericordia" di Caravaggio, per non parlare sempre della Monna Lisa, è un quadro. Sta là. Ora, questo quadro continua a modificarsi di significato. Il significato di oggi non è quello che era ai tempi del Caravaggio perché c'è questa molteplicità di messaggi. I quali messaggi, che vengono dal quadro, io penso che vengano dalla fisicità, dal fatto che il quadro sia fatto di colori, di tela, di pennellate. Il fatto che la scultura di Fidia stia lì è un fatto importantissimo".

N.: "Certo, come dici, essa col tempo si carica di simboli..."

A.: "Non è simbolo! E' una energia misteriosa che viene emanata dall'oggetto. A ciò non crede nessuno, tranne che gli artisti... E' chiaro per esempio che non esiste Picasso senza Velazquez. Ora, detto questo, è evidentissimo che lo sviluppo dell'arte è coerente con lo sviluppo della società frenetica etc. etc. Oggi, non posso saperlo, certo, ma penso che neppure tuo padre dipingerebbe in quel modo; probabilmente perché il cambiamento è talmente brutale che non si può non tenerne conto.

N.: "Infatti mio padre negli ultimi anni rifiutava di dipingere".

A.: "E' un gesto di rifiuto. L'ha fatto pure Duchamp, che per quarant'anni non ha voluto far più niente. Ma io vorrei tornare a quel discorso che non ti ha convinto, e che invece a me convince molto. Perché dici che non ti convince"?

N.: "Perché la dissoluzione fisica della corporeità è effettivamente in atto. E' iniziata con la fotografia, poi con l'elettricità. Ma oggi la televisione crea un'aura immateriale intorno al pianeta, la quale determina profondamente i valori, i linguaggi e in breve il senso della storia che la gente crede di avere, ma che invece è la manifestazione di forme di comunicazione progressivamente immateriali. E poi si va alla scoperta di mondi e di ipermondi, sempre più immateriali, creati dalla sofisticata e metafisica ingegneria dei computers, la quale è in fondo ancora agli albori e non si sa verso quali esiti essa andrà..."

A.: "Ti devo dire la verità? Sono molto sospettoso quando sento dire che si va verso ... questo... verso quello... Io non so affatto dove vado e credo che pochi lo sappiano. Io non so manco se fra un'ora andrò a casa. Mi insospettisce questo fatto di voler sempre sapere dove si va? Quella rosa dove va? Per ora sta là. Però è una rosa. Non è il concetto della rosa. (Amelio citava Shakespeare, "Romeo e Giulietta", Atto II, Scena II. E citava anche G. Stein). Cioè l'oggetto esiste nella natura e deve esistere nell'arte perché è solo l'oggetto che può diventare una macchina del pensiero. Se Fontana, invece di fare il taglio che si intitola "Concetto spaziale" si fosse limitato a scrivere su un pezzo di carta "Concetto spaziale" questo concetto spaziale non si sarebbe arricchito di tutto quel mistero che ancora c'è in questi quadri. Chi lo rende così, chi lo rende colà, chi dice: "lo so fare pure io". Ma è proprio il fatto che Fontana si sia sporcato le mani (perché il pittore è una bestia che si deve sporcare le mani) e abbia fatto con questo materiale qualche cosa di materiale è, secondo me, una cosa importante nell'arte. Altrimenti si finisce in una specie di idealismo astratto col quale io non sono per niente d'accordo. Cioè, va benissimo al livello del pensiero. Anch'io sto leggendo cose stupende di Foucault: Le mot et le chose. Ma se non ci fosse stato un signore chiamato Velazquez e un suo quadro grande quanto questa parete che esiste ancora... Ecco, questa è la realtà dell'arte. Tu sai che Foucault prende Las Meninas di Velazquez come momento in cui l'idea della rappresentazione sembra entrare in crisi".

N.: "Stai citando il primo capitolo di Le parole e le cose. Se non ricordo male Foucault si cimenta con l'archeologia della parola, del segno. Poi c'è il problema della rappresentazione nel contesto della modernità che avanza..."

A.: "Non mi interessa. Non lo so. La mia fortuna è di non sapere le cose. Ma quelle poche cose che so mi piace saperle bene. Io so per esempio qualcosa dell'arte, anche per istinto, avendo vissuto ventisei anni a contatto con gli artisti... Per esempio Cy Twombly, che io esposi tanti anni fa, nel '79 (e indica un manifesto di Twombly appeso alla parete). Adesso Twombly ha fatto una nuova scultura che si intitola "Termopili". Un poema bellissimo: la mitica battaglia in cui i trecento soldati-amanti morti per il traditore che fa passare i Persiani è stata traslata da Kavafis in un'immagine di onore per coloro che si impegnano per la dignità dell'uomo. Ed è una poesia bellissima che dice: "... è tanto più onore se essi sanno, come molti sanno, che Efialte il traditore arriverà e che i Medi passeranno lo stesso...". Anche questa è la coscienza dell'artista: l'oggetto non ha molto senso, eppure bisogna farlo; così come Twombly ha fatto questa scultura che è apparentemente senza senso. Perché è su questa scultura che scatterà il meccanismo dell'"interpensiero", non è sulla citazione di Kavafis detta da Twombly. E per concludere il discorso - che è importante perché il tuo scetticismo mi fa paura - l'oggetto d'arte, l'oggetto in sé e in quanto segno, è uno strumento importantissimo che fa scattare il meccanismo del pensiero. Anche la merda d'artista. Ma deve essere la merda dell'artista prodotta e inscatolata dall'artista e non la merda presa a caso... Uno dice: "ah, la merda d'artista! Che spiiiritooooooso. Tutto si può vendere. Anche la merda". Questa è la lettura, probabilmente la più banale, che Manzoni voleva offrire per eliminare tutta una serie di gente inutile. L'altra lettura, per esempio, potrebbe essere un discorso sul corpo in decomposizione e la scatoletta è la tomba. Ecco, vedi? Un piccolo esempio di come l'oggetto è un momento importante. Perché quella scatoletta, se la apri, indovina che ci trovi? La merda! Come ha fatto Pierre Restany, il critico d'arte. Ecco il traditore! Egli ha aperto la scatoletta perché non aveva la capacità di sentire la puzza della merda attraverso la scatoletta. Cioè, voglio dire, non aveva la sensibilità di cogliere il gesto misterioso dell'artista. Io penso che ci siano degli artisti che hanno elevato alla massima potenza il pentimento. Il pentimento è un termine pittorico classico che significa ad esempio fare un braccio così, poi cancellarlo per rifarlo così. Ebbene, l'arte contemporanea assume quest'idea del pentimento, cioè del non finito, come regola generale. Ovvero come - scusami l'espressione generica - "opera aperta"".

N.: "Dall'espressione desumo che ti piace Umberto Eco".

A.: "Non lo so perché non l'ho mai letto. E non lo leggerò mai. Mi è stato detto e raccontato da persone che capiscono la letteratura che non va letto. Ma prendimi sempre fra virgolette, altrimenti Eco si incazza... ma poi chi se ne fotte se si incazza? Voglio dire, tornando al pentimento, prendiamo Riccardo Dalisi. Lui fa il designer, però ha un grande desiderio di fare qualcosa di più. Allora lui ha fatto questa mostra da me. Ma credimi, bisognava sbatterlo letteralmente fuori la porta per non farlo entrare, perché (ride) fino all'ultimo entrava dentro e metteva un po' di colore qua, cambiava la gambetta là... Si vedeva questo considerare il lavoro come qualcosa continuamente in progress, continuamente in divenire, mentre apparentemente, e insisto sull'apparentemente, nei quadri dell'arte classica questo non avveniva. E parlo proprio dei "classici"".

N.: "Perdonami Lucio, ma tutto questo discorso sulla cosa, sull'oggetto, e infine sulla necessità del referente capace di innescare la serie delle "dichiarazioni sul mondo" mi sembra molto vicino a un atteggiamento classico-classico, se non classicista, sospettoso di ogni ipotesi d'avanguardia..."

A.: "Non mi provocare! "Classico" è la mia parola preferita. Ed è anche la parola preferita da Kounellis, tanto per dire, e credo anche di Twombly. Questi artisti sono artisti classici. Torno a Foucault, che ha scritto un bellissimo libro sulla sfera della sessualità che parla appunto del concetto dell'autodominio dell'uomo classico, dell'uomo greco. Cioè dell'uomo che usa il piacere come i cristiani non lo usano più; che usa il piacere soltanto per moderarlo. E questo è ciò che fa l'artista".


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