Op art  1945
(EE) - (Optical Art). Prima ancora dell’ultima guerra mondiale,
numerosi furono gli artisti astrattisti le cui ricerche si basavano
unicamente su fenomeni ottici, da essi impiegati
non a scopo narrativo o suggestivo, non per esprimere un
sentimento, ma con rigore scientifico, per realizzare un
tipo nuovo di ambiente capace di modificare il comportamento
umano, o quanto meno di offirgli una cornice gradevole.
I confini tra OA ed Arte cinetica sono piuttosto
fluidi, poiché le due forme d’arte non soltanto hanno comune
eredità, ma anche, di fatto, scopi identici. Tuttavia
l’Arte cinetica induce praticamente l’artista ad abbandonare
i limiti della pittura, troppo ristretti, mentre l’esperienza
optical si muove ancora all’interno dei suoi confini,
o meglio tende a ritrovarne il senso. A parte i «grandi
antenati» come Delaunay (orfismo), che in un certo
modo, come altri loro contemporanei (Balla futurista, Duchamp
con i suoi rotoreliefs, Man Ray, ad esempio, e in
Italia il più giovane Munari), prepararono la strada a questo
tipo di opere, il merito di aver saputo portare, subito
dopo il 1945, queste esperienze verso nuovi orizzonti
spetta a un gruppo di artisti (Nouvelle Tendance) raccolti
a Parigi intorno a Vasarely. Ogni artista legato a questa «scuola» ha scelto un particolare
aspetto dei problemi posti e si è dato il compito,
entro limiti rigorosi, di sperimentarli fino alla saturazione
delle possibilità. Vasarely, peraltro, dominò questa situazione:
sia per l’ampiezza della sua opera che per la logica
del suo itinerario e l’esemplarità del suo metodo. Oriente
le proprie ricerche verso le implicite conseguenze di questo
tipo d’arte, che consistono nel definitivo rifiuto
dell’esemplare unico a vantaggio del «multiplo» e nell’applicazione
di tali ricerche all’architettura e all’arredo
quotidiano, il che porta, gradualmente, quest’arte ad inserirsi
soprattutto nell’ambito della pubblicità e dell’arredo,
al punto da confondersi talvolta pericolosamente con le
cosiddette «arti applicate». Tuttavia il nucleo più interno
e propulsivo delle ricerche «op» consiste in una analisi dei
processi ottici e psicologici della percezione – anche sulla
base della Gestalt-psychologie (psicologia della forma) – in
rapporto dialettico con le possibilità offerte dalla moderna
tecnologia; e caratteristiche specifiche dell’OA sono, al
tempo stesso, il privilegiare la messa a punto di un metodo
operativo programmato e il mirare a un coinvolgimento
del fruitore nel completamento dell’opera.
La OA, benché resti relativamente fedele alla superficie
del supporto, spinge peraltro i suoi adepti all’impiego di
materiali non pittorici (metallo, vetro, plastica), le cui textures
rispecchianti sono funzionali agli effetti perseguiti.
Nella stessa linea si colloca il ricorso a soluzioni di trama
e di trasparenza.
La generazione degli artisti nati tra il 1925 e il 1930, che
si rivelò soprattutto verso la fine del sesto decennio,
operò in tale spirito, sistematizzando le scoperte precedenti
e moltiplicandone le applicazioni nella vita quotidiana.
Partendo dalle variazioni ottiche sulla superficie, si
giunse ben presto a ricerche di composizioni sistematiche
(Debourg, Garcia-Rossi, Sobrino, Le Parc, Demarco, Servanes,
Morellet), di effetti screziati (Morellet, Soto,
Stein); molti artisti (Agam, Cruz Diez, Soto, Yvaral, Vardanega,
Martha Boto), passarono a poco a poco dalle semplici
ricerche ottiche a quelle, più complesse e per certi
aspetti più seducenti, dell’Arte cinetica. Il movimento divenne
internazionale; si formarono gruppi in numerosi
paesi europei: in Italia, in Spagna, in Germania, in Jugoslavia,
in Svizzera. Tali movimenti si collocano nella tradizione
del Bauhaus (Moholy-Nagy, Albers) e di De Stijl.
Negli Stati Uniti l’azione di un artista come Josef Albers
(1888-1976), che aveva appunto insegnato al Bauhaus e si
era rifugiato poi in America, fu determinante nel quadro
della crisi dell’espressionismo astratto. Le opere di Ellsworth
Kelly e di Kenneth Noland si apparentano all’OA,
introducendovi l’elemento costante nell’arte americana, il
gigantismo. Spesso molti artisti di area «op» avvertirono
rapidamente la necessità di un’«apertura» verso lo spazio
totale: Cruz Diez sperimentò gli effetti del colore nelle
cronosaturazioni, Soto nei penetrabili, Agam con i rilievi.
Negli Stati Uniti l’OA fu consacrata nella vasta mostra di
arte astratta percettiva (The Responsive Eye), tenutasi nel
1965 al moma di New York, dove apparve preminente la
personalità di L. Roons.
In Europa i primi gruppi di lavoro si formarono verso la
fine degli anni Cinquanta: in Francia (Groupe de recherche
d’art visuel), in Spagna (Equipo 57), in Germania
(Gruppo zero di Düsseldorf), in Italia (Gruppo 1 a Roma,
Gruppo N a Padova, Gruppo T a Milano), entro un arco
di esperienze in cui si affiancano, e interferiscono tra
loro, ricerche più propriamente «op» ed altre variamente
inclinate in senso «cinetico» e «programmato».
Nella situazione optical italiana è stata implicata, in diversa
misura, l’attività di artisti isolati come Mari, Castellani,
Alviani. Si ricordano qui, inoltre: Duarte e Ibarrola
per la Spagna, Hacker, Mack, Piene, Graevenitz per la
Germania, Picelj per la Jugoslavia, Talmann e Gerstner in
Svizzera, De Vecchi e Colombo per l’Italia. Con la diffusione,
anche inflazionata, del linguaggio optical, hanno finito
per emergere sempre più esigenze puramente ludiche
e spettacolari. [Einaudi]
Alarte: appunti di storia dell'arte
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