Quando nel 1439 Piero di Benedetto dei Franceschi, detto Piero della Francesca, lavora a sant'Egidio con Domenico Veneziano, avverte sicuramente la tensione tra i due modi di interpretare la pittura che facevano capo a Paolo Uccello e a Filippo Lippi (continuazione dell'antitesi ideologica Masaccio/Angelico). L'artista propone invece una strada unica, una sintesi che faccia della pittura "un ideale universalistico di identificazione dell'arte con la totalità del sapere" (Argan) - L'artista parte da Firenze per non farvi più ritorno e, fino a Michelangelo, la città perderà il ruolo di guida avuto finora nello sviluppo del pensiero artistico. Se nel fenomeno si vede tutto non ha più senso andar cercando una struttura costante celata sotto le mutevoli apparenze del reale (Argan 198) - Nel trattato De prospectiva pingendi spiega che la prospettiva non è una fase pittorica, ma la pittura stessa.

Piero è il pittore che ha operato la sintesi delle principali esperienze compiute dall'arte fiorentina, realizzando una pittura in cui prospettiva e proporzione esprimono della realtà il suo ideale razionale. La figura, evidenziata nella volumetria e nella luce diventa architettura, immobile, bloccata in una forma geometrica ideale, come in Paolo Uccello, ma organizzata in un ordine complessivo dato da una lucida, perfetta, intelaiatura prospettica. L'intera rappresentazione risulta solidificata nella sua immobile perfezione: idea matematica del reale. Il più delle volte la luce di Piero non ha una direzione individuabile ma è diffusa "diurna, ferma, razionale" (AM) e chiarificatrice. Il modellato è dato dal colore e non dal chiaroscuro, le ombre sono rese con colori più o meno luminosi. La linea circonda i colori delimitandoli nettamente. Il tema dell'opera è per l'artista sempre un pretesto per mettere in relazione le cose del mondo in un ordine razionale fissato dalla prospettiva e dalla geometria.