artista

Nam June Paik

(1932 - )

BILBAO - Lungo una fila di schermi scorrono immagini frammentarie, brandelli di cerimonie orientali, di concerti rock, spezzoni televisivi. Su altri schermi immagini elaborate al computer creano un universo tecnologico che se da un lato disorienta dall’altro affascina misteriosamente. Le opere di Nam June Paik, coreano, classe 1932, lo hanno consacrato a padre della video arte: precorritore delle generazioni di artisti che oggi prediligono la telecamera, ha saputo fondere la sua cultura orientale con quella occidentale e una fervida immaginazione visiva con le possibilità combinatorie offerte dalla sua conoscenza della musica e dalla tecnologia. Leone d’oro alla Biennale di Venezia del 1993, oggi Nam June Paik riassume quarant’anni di lavoro al Museo Guggenheim di Bilbao: aperta dal 22 maggio al 30 settembre, la mostra è una versione ampliata di quella tenuta al Guggenheim newyorkese e a Seul. Nam June Paik lavora in un caotico studio a New York, dove è approdato nel 1964 dopo un discreto peregrinare per il mondo. Cresciuto in una famiglia dell’alta borghesia coreana, la guerra nel paese asiatico lo portò a Tokyo, poi in Germania. Ha studiato storia, musica contemporanea e storia della musica, le sue inclinazioni e la sua formazione lo avrebbero portato alla pittura o alla composizione musicale. Ma non si sentiva all’altezza di artisti come Jasper Johns o di musicisti come John Cage. Quindi, negli anni Sessanta, cercò una strada propria per fondere i suoi interessi con quel nuovo mezzo che era la televisione. Nel 1963 espose a Wuppertal, in Germania, tredici apparecchi televisivi sui quali scorrevano immagini apparentemente casuali. Era la prima mostra di video arte. Un percorso era tracciato. Da allora Nam June Paik ha creato e crea tessuti visivi e sonori fortemente poetici, rielabora qualcosa di nuovo rispetto al materiale originale senza aver mai dimenticato gli studi musicali. Negli anni Ottanta ha lavorato con la perfomer e musicista Laurie Anderson, con la rockstar David Bowie, per le coreografie di Merce Cunningham, con Cage. Ha collaborato a lungo con la violoncellista Charlotte Moorman, dando vita a performance che una volta, nel 1969, portarono lui e lei in prigione perché lo schermo esaltava il seno nudo della musicista. I suoi interventi aumentarono anche in dimensioni. Nel 1997 presentò, negli Stati Uniti, una gigantesca installazione da cartellone pubblicitario formata da due pannelli di 150 e 65 schermi televisivi, regolati da computer, sequenze digitali, con canti rituali e musica rock. Era un’orchestrazione di suoni e immagini per tessere un ritmo globale. In qualche misura Nam June Paik interpreta l’ambizione all’opera “totale” nell’era della tecnologia, andando oltre il concetto di sculture composte da schermi affiancati. Anche sotto il profilo tecnico si può definire il suo un lavoro “in progress”: ha concepito una “cybertown”, ha creato animazioni al computer dove scene di guerra e d’amore si trasformano nel battito d’ali di un uccello. Negli ultimi tempi ha ampliato i suoi interessi al laser, tanto che il Guggenheim di Bilbao gli ha commissionato, per la mostra spagnola, Laser Cone, una superficie conica in cui i raggi avvolgono di luce il visitatore (o forse è meglio dire lo spettatore). La carriera di Paik, il papà della video arte che afferma di non guardare la televisione, viene documentata dal museo esponendo in ordine non cronologico lavori realizzati dal 1963 al 2001. Se poi il mondo che l'artista crea è incubo o sogno, spesso è la sensibilità dello spettatore-visitatore a deciderlo. (Stefano Miliani)

 
Nam June Paik, 3/4 in - videotape
1973 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, telephone  
1990 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, Vidiot_Surfer
1990 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, Techno_Buddha
1990 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, GlobalEncoder
1990 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, Nomad
1990 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, HackerNewbie
1990 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, Piano Piece
1993 Nam June Paik
 Contemporaneo 
Nam June Paik, ANDY WARHOL ROBOT
1994, Collection Kunstmuseum Wolfsburg - Porschestrasse 53 D-38440 - Wolfsburg - Germany Nam June Paik
 Contemporaneo 
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